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Pirelli Annual Report 2022

Progetto editoriale

Gli autori

di
Giorgio
Metta
Giorgio Metta
È Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Dopo due anni presso il Massachusetts Institute of Technology, è stato membro del consiglio di amministrazione di euRobotics aisbl, l’organizzazione di riferimento a livello europeo per la ricerca sulla robotica. Nel 2018 è stato uno dei tre rappresentanti italiani al forum G7 sull’IA e più recentemente, uno deAutori dell’Agenda Strategia Italiana sull’intelligenza artificiale.
A lungo coordinatore per lo sviluppo dei robot iCub, di fatto, la piattaforma di riferimento per la ricerca nell’IA, incentra le sue attività di ricerca nel campo dei sistemi bioispirati e della robotica umanoide con particolare riferimento alla progettazione di macchine in grado di imparare dall’esperienza.

La nuova elettricità

«L’Intelligenza Artificiale è la nuova elettricità». Queste parole, pronunciate dal “collega” statunitense, informatico e professore dell’Università di Stanford Andrew Ng, volevano mettere l’accento sul cambiamento generato dall’IA oggi, in maniera simile ed equivalente all’impatto che ebbe l’elettricità nel Novecento. Mi piacerebbe fornire all’interno di questa stessa visione un’interpretazione solo leggermente diversa. L’uso dell’intelligenza artificiale è talmente pervasivo da raggiungere qualsiasi segmento del nostro quotidiano, che ne viene influenzato e modificato: salute, agricoltura, trasporto, energia sono alcuni dei settori che saranno legati a doppio filo con l’IA. Come cent’anni fa fece l’elettricità, l’IA diventerà la condizione necessaria e indispensabile per garantire una più alta qualità della vita.

Negli anni Cinquanta, Alan Turing formalizzò il concetto di computazione utilizzando elementi molto semplici, definì in maniera precisa i concetti di algoritmo e del calcolo digitale. La curiosità incredibile del matematico inglese lo portò anche a domandarsi se una macchina potesse in effetti pensare. A quasi un secolo di distanza la genialità delle sue intuizioni è la base teorica sulla quale si fonda la nuova rivoluzione tecnologica. Gli ultimi quindici anni sono stati infatti affascinanti in termini di progresso grazie alla crescita delle capacità di calcolo e di conservazione delle informazioni, aiutati da una rete Internet vasta e diffusa, che nel suo sviluppo raccoglie i dati relativi a decenni di attività umane in qualsiasi settore. È qui, all’interno di una rete riempita dalla nostra quotidianità anche e soprattutto attraverso i dispositivi mobili, che gli sviluppatori dell’IA hanno trovato una base dati facilmente accessibile e pressoché illimitata dalla quale attingere per allenare modelli con trilioni di parametri.

È dunque ancora più evidente come il mondo nel quale si muove e, metaforicamente, vive l’IA oggi sia quello completamente digitale del cyberspazio. Non per nulla i risultati migliori sono quelli legati alle elaborazioni “simboliche”, nelle quali l’alfabeto è identificabile con precisione assoluta. Mondi dove un “linguaggio” – non necessariamente quello parlato – sottintende la struttura di quanto si cerca di rappresentare nell’algoritmo. Il linguaggio testuale umano, come quello di programmazione, o ancora il linguaggio della struttura tridimensionale delle proteine, o le reti energetiche o dei trasporti sono accomunati tutti da strutture a grafo, ossia figure geometriche fatte da un insieme finito di punti, i cui nodi – o vertici che dir si voglia – sono parole, simboli, interazioni chimiche o transizioni di stato. Questa vicinanza tra dato simbolico e algoritmo ha determinato l’utilizzo prevalente dell’IA all’interno delle apparecchiature digitali. Non è un caso che il primo campo di applicazione sia proprio il nostro dispositivo mobile, così come il nostro computer, le interfacce

Esiste però un territorio di applicazione dell’IA che risulta ancora molto ostico: il mondo “fisico”, reale. L’interazione tra il paradigma del calcolo digitale e quello del mondo reale, analogico per definizione e, soprattutto, imprevedibile anche perché popolato da noi esseri umani è ancora molto difficile per l’intelligenza artificiale. La difficoltà è quasi epistemica. Gli algoritmi devono estrarre i simboli stessi per poterli elaborare e prendere delle decisioni accuratissime affinché il controllo dei movimenti sia privo di errori, sicuro e in ultima analisi efficace. Gli algoritmi che utilizziamo non sono ancora sufficientemente precisi.

Da qui le promesse mancate. L’auto a guida autonoma è forse l’esempio migliore. È molto difficile non bloccarsi per un imprevisto: nottetempo nevica e al mattino la mia auto senza conducente si blocca perché il paesaggio è visivamente diverso da quanto era stato ipotizzato.

Per progredire in questo campo studiamo quindi l’interazione tra uomo e macchina come epitoma del rapporto tra analogico e digitale. La robotica – solitamente rappresentazione del meccanico e dell’esatto – assume il ruolo di interfaccia tra noi e il cyberspazio. Qui, in questo luogo tra digitale e analogico vivono gli algoritmi di IA che controllano i movimenti del robot durante la loro interazione con noi. Ciò che risulta affascinante in queste ricerche, dove psicologia sperimentale e ingegneria si incontrano, è di fatto come esse permettano tanto di migliorare il movimento e le prestazioni dei robot, quanto di comprendere meglio l’essere umano. Ci troviamo a studiare come i diversi comportamenti del robot diventano segnali di comunicazione e come questi influenzano la nostra percezione degli stessi e di conseguenza le nostre risposte. Oltre a diventare il mezzo per migliorare l’interfaccia tra sistemi digitali ed essere umano, i robot - in questi esperimenti tipicamente umanoidi - ci insegnano qualcosa sulle funzioni cognitive: l’attenzione, la capacità prensile e di manipolazione degli oggetti o, per esempio, la stessa comunicazione non verbale. In questo campo le nostre ricerche ci portano a ipotizzare che per apprendere realmente a ragionare come noi essere umani, le magnifiche reti neurali artificiali di recente costruzione debbano essere dotate anche di un corpo simile al nostro.

In ricerche più pragmatiche e vicine all’applicazione, l’apprendimento automatico (una delle tecnologie dell’IA) è stato applicato con successo per migliorare le simulazioni di nuovi materiali e capirne il funzionamento, la sintesi degli stessi materiali nei laboratori di chimica, l’interpretazione dei dati della genomica ma anche la predizione della struttura tridimensionale delle proteine. I materiali così sviluppati trovano applicazione nel campo dell’energia, migliorano il funzionamento dei pannelli solari, l’efficienza delle turbine, la precisione della medicina attraverso la comprensione della biologia. L’IA sta diventando un aiuto importante per risolvere i tanti problemi tecnologici che ci consentono di prenderci cura del nostro pianeta (soprattutto i nuovi materiali) e di noi stessi (la salute). L’intelligenza artificiale è diventata un acceleratore incredibile nel modo in cui costruiamo gli esperimenti, come li conduciamo – a volte anche con i robot – e come disegniamo gli esperimenti futuri. È chiaro come gli scienziati o le aziende che hanno accesso agli algoritmi, ai dati e alla capacità di calcolo potranno competere a costi minori generando nel contempo risultati sempre più velocemente. A mio modo di vedere, l’IA è molto di più dell’elettricità. Non è solo tecnologia, ma qualcosa che cambia il modo stesso in cui conduciamo la scienza e sviluppiamo altra nuova tecnologia. I modelli generativi stanno disegnando un nuovo scienziato che conduce esperimenti con parsimonia, perché la maggior parte di essi sono già simulati dentro un calcolatore ad alte prestazioni.

Possiamo domandarci come sarà fatto il prossimo futuro. Vedo due sfide. La prima è quella tecnica. Portare la tecnologia dell’IA a un livello di sviluppo così sofisticato da diventare l’intelligenza che ci aiuta a risolvere i problemi di sostenibilità e quelli della salute. Mentre oggi possiamo utilizzarla per qualche nuovo esperimento, in un futuro prossimo essa consentirà di analizzare la nostra conoscenza scientifica in senso ampio, raccordando i risultati di milioni di esperimenti e interpretandoli sistematicamente.

La seconda sfida è quella di sognare in grande e utilizzare l’IA come strumento per capire veramente com’è fatto il nostro cervello, da una parte per curarlo, dall’altra perché capire noi stessi fino in fondo è il sogno dell’umanità da quando per la prima volta ha alzato gli occhi al cielo e osservato lo spazio intorno a sé.