Gli autori
Cameron
Il tempo perfetto
Mrs Wendall aveva vissuto nella stessa casa per sessantaquattro anni. La casa era in uno dei sobborghi più antichi di Baltimora e quando lei e suo marito vi si erano stabiliti nel 1955 con il primo figlio, era stata appena costruita. Nei dieci anni successivi avevano avuto altri tre figli e la casa, sebbene poco spaziosa, era a loro misura, così nel corso degli anni non l’avevano cambiata molto, avevano provveduto solo a qualche piccolo ritocco: la veranda chiusa dalle zanzariere era diventata un soggiorno e la mansarda sopra il garage era stata trasformata nella quarta camera da letto. Alex, il marito, chirurgo al John Hopkins, grazie alla sua carriera aveva pensato di comprare una casa nuova, più grande e in una cittadina più agiata, ma Mrs Wendall la sua casa non l’aveva voluta lasciare e dunque erano rimasti. Alex ormai era morto da dieci anni ed erano morti anche due figli – Robert, il maggiore, di AIDS nel 1987 e Alice, la figlia, nel 2006, uccisa dalle pallottole di un folle nella hall di un albergo alle Hawaii.
Mrs Wendall aveva novantaquattro anni e sapeva che non avrebbe vissuto ancora a lungo – forse, tutt’al più, qualche anno. L’unica cosa che desiderava era vivere nella sua casa fino alla morte.
Ogni mercoledì sera veniva a cenare da lei Callum, il marito di sua nipote Lilly. Le portava la spesa e si occupava di tutte le cose di cui i figli temevano lei non riuscisse più a occuparsi da sola. Le prime volte veniva anche Lilly, e Mrs Wendall preparava una bella cena, ma ormai veniva di rado, poiché erano arrivati da poco due gemelli che soffrivano di coliche, un nuovo lavoro e una dolorosa malattia debilitante dal nome di fibromialgia. Com’è tutto difficile per i giovani al giorno d’oggi, pensava Mrs Wendall. Sembrava che non avessero mai tempo né denaro. Allora, quando era giovane lei, avere una famiglia, godersela, era più facile. Dall’inizio di quelle cene settimanali era avvenuto anche un altro cambiamento: l’artrite e i reumatismi di Mrs Wendell erano peggiorati, impedendole di stare a lungo davanti ai fornelli, perciò Callum ormai comprava sempre qualcosa di pronto. Una tristezza per lei che si era sempre vantata di essere una brava cuoca e una brava padrona di casa.
Alla fine della cena (una pizza) Callum controllò le sue finanze. Mrs Wendall pagava le bollette e il resto dei conti con degli assegni compilati a mano, e incolonnava con molta precisione le entrate e le uscite in un portadocumenti di pelle che suo figlio Robert le aveva regalato nel Natale del 1978. Aveva uno scomparto per il libretto d’assegni, una tasca della misura perfetta per contenere una bustina da venti francobolli e nel dorso un anello di pelle in cui avvolgere la stilografica Parker Debutante che usava sempre per gli assegni da compilare. Aveva vinto quella bellissima penna grigia marmorizzata a dodici anni, nella gara di spelling del 1937. In passato l’aveva usata per scrivere le lettere, ai tempi in cui ancora le scriveva, ma ormai i suoi corrispondenti epistolari erano tutti morti.
Callum controllò le ultime bollette e gli ultimi estratti conti servendosi della calcolatrice sul cellulare (Mrs Wendall non capiva come e perché le calcolatrici – e le macchine fotografiche – fossero finite dentro il telefono) e verificò che i totali degli assegni emessi e versati fossero giusti. Lo erano sempre perché nei calcoli che lei faceva con carta e matita non trovava mai uno sbaglio. Mrs Wendall sapeva che lui rimaneva deluso della sua abilità matematica e talvolta contemplava l’idea di sbagliare solo per fargli piacere, ma era troppo orgogliosa per essere magnanima.
Dopo aver ammesso a denti stretti che la sua contabilità era in perfetto ordine, Callum disse: «Una cosa però. Ormai non c’è più nessuno che fa così, si servono tutti della banca elettronica. Se mi consentissi di mettere online le tue finanze sarebbe molto più facile».
«In che senso, metterle online?».
Lui le spiegò che poteva fare in modo di addebitare il pagamento delle bollette direttamente sul conto e accreditare in modo altrettanto diretto gli assegni. «Sarei ben felice di configurarti tutto io», disse, «e non avresti più il pensiero dei conti. Basta che io compili alcuni campi e dia il tuo numero di conto bancario».
«A chi? A chi daresti in mio numero di conto?».
«A tutti quelli che paghi con assegno. E possiamo farti accreditare direttamente la pensione. Non dovrai più compilare niente, o andare in banca per versare gli assegni».
«Ma a me piace», disse Mrs Wendall. «Mi piace fare una passeggiata, andare in banca e parlare con gli impiegati. In pratica sono le uniche persone che vedo, ormai. Alcuni li conosco da anni».
«Be’, qua stanno chiudendo tutte le filiali, quindi, anche volendo, non ci riuscirai ancora per molto. Per quanto immagino che tu possa ancora fare una passeggiata fino al bancomat e versare i tuoi assegni, se ci tieni davvero».
«Non affiderei mai un assegno a una macchina. Non mi fido».
«Sai, hanno scoperto che i bancomat hanno un tasso d’errore molto minore rispetto agli impiegati in carne e ossa, per questo chiudono le filiali. Lascia che ti metta online i pagamenti e i versamenti. Sarai più protetta e risparmierai un sacco di tempo e di preoccupazioni. A te, e a me».
Mrs Wendall guardò il portadocumenti di pelle poggiato sul tavolo, accanto alla scatola della pizza. Tanti anni prima era blu perché i figli sapevano che il blu era il suo colore preferito, ma il tempo lo aveva scurito e ormai era quasi nero. Voleva dire a Callum che di tempo ne aveva molto a disposizione, che compilare gli assegni non le aveva mai dato pensiero, ma non voleva fare la riottosa, così si limitò a dire: «Compilare gli assegni mi mancherà».
Quando Callum se ne andò, lei se ne stette seduta per un po’ sul divano, da sola. Ricordò com’era quella stanza all’inizio, una semplice veranda chiusa dalle zanzariere che lei e Alex avevano ristrutturato e coibentato trasformandola in soggiorno. Ricordò che per anni era stato un ambiente allegro, sempre ingombro, i giocattoli dei figli, l’acquario con i pesci tropicali, il porcellino d’India nella gabbietta, e ogni dicembre l’albero di Natale, con i regali avvolti nella carta sgargiante e ammonticchiati intorno alla base dell’albero che torreggiava decorato di luci e fili d’oro, di addobbi di vetro di un’altra epoca. Ma tutte queste cose ormai non c’erano più – alcune prese dai figli, altre donate ai mercatini di beneficenza o buttate via.
C’era un altro rito, oltre alla visita di Callum, che segnava e concludeva i suoi mercoledì sera. Prima di andare a letto Mrs Wendall caricava l’orologio d’antiquariato appartenuto alla sua bisnonna e utilizzato per molti anni nella casa dei genitori. Era un otto giorni dalla caratteristica forma di banjo, che le era stato regalato quando lei e Alex erano entrati in quella casa, ed era appeso nell’ingresso ormai da sessantaquattro anni. Scandiva il tempo in modo perfetto, con estrema precisione, e batteva ogni ora.
Le piaceva aprire lo sportello di vetro che proteggeva il quadrante, inserire la chiavetta di ferro nel foro accanto al numero II, una boccuccia minuscola aperta nel posto sbagliato, e girare lentamente e con delicatezza come le aveva insegnato sua madre, in modo che i pesi racchiusi nella colonna risalissero le catenelle filigranate. Mrs Wendall girò con delicatezza finché la carica terminò. Estrasse la chiavetta e chiuse lo sportello, con i pesi di bronzo dorato sospesi in cima, nello scuro interno dell’orologio, simmetrici polmoni pronti a un’altra ticchettante discesa, a un altro lento svolgersi del tempo.