Vivian Lamarque, nata a Tesero (Trento) nel 1946, è sempre vissuta a Milano dove ha insegnato italiano agli stranieri e letteratura in istituti privati. Ha pubblicato Teresino (1981, Premio Viareggio opera Prima), Il signore d’oro (1986), Poesie dando del lei (1989), Il signore degli spaventati (1992), Una quieta polvere (1996). Nel 2002 la sua opera poetica è stata raccolta nell’Oscar Poesie 1972-2002. Successivamente ha pubblicato Poesie per un gatto (2007) e La gentilèssa (2009), Madre d’inverno (2016) e L’amore da vecchia (Premio Strega Poesia, Premio Viareggio e Premio Saba 2023). È anche autrice di una quarantina di fiabe, a partire da La bambina che mangiava i lupi (1992). E di fiabe musicali tratte da opere di Mozart, Schumann, Ciajcovskij, Prokofiev, Stravinskij. Per l’infanzia ha pubblicato anche Poesie di ghiaccio (2004), Poesie della notte (2009), Storielle al contrario (2013), Animaletti vi amo (2023) e Storia con mare cielo e paura (2024).
Ha tradotto tra gli altri Baudelaire, Valéry e favole di La Fontaine, Céline, Grimm e Wilde. Dal 1996 collabora al «Corriere della Sera».
Essendo notte quieti lassù dormivano
verso mattino vedevi che erano di alberi
le sagome là sulla collina:
profili di alberi grandi e più grandi
e anche di medi e di nuovi nati.
Tramite fruscii di voli e foglie, al risveglio
gli uni con gli altri si scambiavano segnali -
lingue a noi ignote, come del resto le nostre a loro.
Poi con ampi e grati sguardi
al nuovo mattino davano il buongiorno
ma se nell’aria sentivano bufera, inquieto era
nell’attesa il loro bisbigliare e se gelida
li feriva tramontana o grecale
tranquilli dicevano i vecchi ai grandi
e i grandi ai piccoli passerà il male.
Quando poi la guerra del cielo, le armi, erano finite
e tutto attorno a loro tornava come prima - mite
se in visita giungevano zeffiri sereni
o un venticello, prego gli dicevano indicando spazi ospitali
tra foglia e foglia, ospitali spazi tra rami e rami.
Dalle loro immense finestre sempre aperte giungeva allora
un coro lieto di annose querce e di alberelli nuovi
di ulivi centenari e di betulle, lieto coro di voli, di grandi
e minime ali, di giovani e non giovani foglie, di ogni età.
E se una, una moriva?
Se sembrava Sonno ma era Morte?
Allora per accompagnarla
a bocca chiusa un coro
saliva dalla collina
fino all’eternità.
(poi presto ne spuntava un’altra verde chiaro
proprio dove era stata lei, o un po’ più in là)
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