Pirelli Annual Report 2018 - The Editorial Project

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The editorial project

un’icona ancora attuale

Tra le molte immagini che negli anni hanno raccontato la storia di Pirelli, forse una delle più straordinarie resta quella del velocista americano Carl Lewis, nella tipica posizione di partenza, con ai piedi un paio di vistosi tacchi a spillo rossi. Già detentore del record mondiale e all’ottavo dei suoi nove ori olimpici, Carl Lewis e quelle scarpe simboleggiavano perfettamente il messaggio che Pirelli voleva comunicare, “la potenza è nulla senza controllo”. Dopo 25 anni, quelle parole restano ancora oggi più attuali che mai.

L’Annual Report 2018 le celebra con un video, un racconto per immagini e le riflessioni di tre autori che offrono una personale chiave di lettura del celebre payoff, ciascuno nell’ambito che gli è più familiare.

La scrittrice Lisa Halliday, autrice del romanzo Asimmetria e vincitrice nel 2017 del premio Whiting dedicato agli scrittori emergenti, gioca sul contrasto che in narrativa esiste tra racconto e digressioni. Il primo deve essere veloce e incalzante, dando vita ad una trama avvincente, mentre le digressioni sono concepite come pause della narrazione. Il giusto incontro tra le due parti, una sorta di mediazione tra potenza e controllo, porta a un’opera che procede veloce, ma allo stesso tempo lentamente.

Il conflitto eterno tra potenza e controllo, inscritto nel dna di ogni essere umano, si materializza per il premio Pulitzer J.R. Moehringer nelle alterne vicende di un lanciatore di baseball dei Mets, un piccolo capolavoro di narrazione da leggere tutto d’un fiato come la biografia di Andre Agassi, di cui Moehringer è stato il ghostwriter.

Adam Greenfield, guru del mondo digitale e autore del saggio Tecnologie radicali, trasporta la potenza e il controllo nel mondo di oggi, dove le più audaci tecnologie del presente ci mettono a disposizione una quantità di potenza sempre maggiore, anche se la realtà è che non abbiamo ancora imparato a controllarle.

Vai al prossimo contenuto Reflections

01 Reflection di J.R. Moehringer

È nato a New York nel 1964 ed è stato corrispondente del Los Angeles Times. Per uno dei racconti lì pubblicati, Oltre il fiume, ha vinto il Premio Pulitzer. Il suo primo libro, Il bar delle grandi speranze, acclamato dalla critica, per settimane in vetta alle classifiche negli USA e quindi pubblicato con grande successo in molti paesi, è stato nominato miglior libro dell’anno da New York Times, Esquire, Los Angeles Times Book Review, Entertainment Weekly, USA Today e New York Magazine. Dopo averlo letto, Andre Agassi ha contattato Moehringer per chiedergli di lavorare alla stesura della sua autobiografia: Open ha raggiunto il vertice della classifica del New York Times e di quelle italiane, riscuotendo entusiastici consensi dai lettori e dalla critica. Dopo Pieno giorno, ha pubblicato Il campione è tornato, finalista al Premio Pulitzer.

Il Controllo
della Potenza

di J.R. Moehringer

Anni ’70, una luminosa giornata di sole. Mio zio Charlie – un bevitore, un giocatore d’azzardo, uno sfaccendato, ma un dio ai miei occhi – mi portò a una partita di baseball. In campo c’erano i New York Mets, una squadra tremenda, la peggiore in circolazione; anche loro, però, ai miei occhi erano degli dei. Avevo sette anni, credo. Il ricordo è confuso, non posso garantire sull’accuratezza di certi dettagli. Ma forse è un bene, forse è meglio così, perché l’inaccuratezza è uno dei punti cardine di questa storia. Quel giorno il lanciatore dei Mets era un cowboy con una faccia da bambino e il braccio destro baciato da Dio. Lanciava fumo, lui. Lanciava comete. Lanciava delle fastball che raggiungevano quasi i 150 km all’ora, sfiorando il record assoluto di velocità. Io guardavo gongolando gli occhi a fessura, le labbra increspate dei battitori che di volta in volta si presentavano sulla pedana per affrontarlo. A terrorizzarli non era l’incredibile potenza del cowboy, ma la sua totale mancanza di controllo. Il più delle volte lui stesso non aveva idea di dove sarebbe andato a finire il suo tiro. C’è sempre la possibilità che la palla sfugga dalla presa del lanciatore, che prenda una strada tutta sua, che finisca in faccia o sulla testa del battitore. Un’esile possibilità, certo; ma l’implicita paura che un simile caso si verifichi è tra gli elementi cruciali dello scontro agonistico di questo sport. Con il cowboy, però, l’esile possibilità era quasi una certezza. La questione non era se, ma quando. Avevamo posti buoni, a ridosso dalla prima base. Sembrava quasi di poter toccare quella sgargiante striscia di luce bianco-violacea, quell’arco che andava dalla mano del cowboy a quella del ricevitore. Ricordo ancora a ogni lancio il tonfo di cuoio contro il guantone, un rumore che aveva qualcosa di appagante, come un sacchetto di carta riempito di aria che veniva fatto scoppiare. Pof pof pof.

In realtà tutti abbiamo dei poteri speciali. Le persone di successo sono quelle che riescono a tenere sotto controllo questi poteri in maniera duratura e costante.

Ancora più appagante era il fatto che ogni lancio fosse uno strike. Per qualche congiuntura miracolosa quel giorno il cowboy aveva dalla sua potenza e controllo. Per cinque o sei inning tenne bloccato il punteggio dei suoi avversari sullo zero e fece fuori otto o nove battitori. La sua espressione era di pura gioia. Come anche la mia, immagino. Poi, di colpo, la situazione gli sfuggì di mano. La palla andava per conto suo. A sinistra, a destra, su, giù. Sfrecciava, rimbalzava sul terreno. Mio zio Charlie sospirava. Eccoci qua, diceva. Quarto ball. Il cowboy regalò una base agli avversari. Quarto ball. Il cowboy regalò un’altra base agli avversari. Oltre al controllo il cowboy aveva perso la compostezza. Sudava come il colpevole in un confronto all’americana. In preda all’angoscia guardavo mio zio Charlie. Fa’ qualcosa. Dal canto suo, zio Charlie mi osservava con il placido cipiglio di un antico stoico. E ora cosa pensi di fare? Un’altra base regalata. Il pubblico cominciava a spazientirsi. Dalle gradinate più alte piovevano mugugni e buu di disapprovazione. Adesso cosa succede? chiesi a zio Charlie. Lui si accese una Marlboro, poi sollevò lentamente quattro dita. E in effetti, una due tre quattro, il cowboy fece quattro ball di fila, regalando l’ennesima base e il punto agli avversari. Alla fine l’allenatore prese il cowboy al lazo e lo trascinò fuori dal campo. Ma ormai era troppo tardi. L’altra squadra aveva preso slancio ed era passata in vantaggio e i Mets fecero quello che fanno sempre. Persero. In macchina, mentre tornavamo a casa, mio zio Charlie abbandonò il suo stoico distacco per mettersi a filosofeggiare sul lanciatore. Avere un talento del genere, chiosò, per poi sprecarlo in quel modo... che peccato. Per me era più che un peccato. Era una tragedia. Nonostante siano passati tanti anni, ancora oggi mi ritrovo a pensare a quel lanciatore che continua a farmi da sprone. È il simbolo di chiunque si trovi alle prese con la questione del controllo: in pratica, ogni essere umano. A tutti capita di pensare, erroneamente, che i grandi atleti, attori, pittori, medici, imprenditori e così via siano dotati di poteri speciali. In realtà tutti abbiamo dei poteri speciali. Le persone di successo sono quelle che riescono a tenere sotto controllo questi poteri in maniera duratura e costante. Il formidabile pianista Glenn Gould aveva una fissazione maniacale per il suo vecchio e malconcio Steinway CD 318 e per il suo speciale sgabello di legno con le gambe segate, perché gli permettevano di entrare in contatto, toccare, sentire al massimo lo strumento. «È questo il segreto per eseguire Bach al piano,» diceva. «Bisogna ottenere questo tipo di risposta immediata, questo tipo di controllo sulle sottigliezze». Georgia O’Keeffe, tra i più importanti artisti americani nonché figura di spicco del modernismo, dipingeva con l’anima, con passione e un senso di mistero. Ma in una famosa lettera a una sua cara amica sottolineava l’importanza del sangue freddo. «L’autocontrollo è una cosa meravigliosa [...] Secondo me è importantissimo trattenersi dagli eccessi del sentimento [...] quanto più spesso possibile [...] se vogliamo preservare l’equilibrio mentale e avere una visione limpida, scevra di pregiudizi». Questo conflitto tra potenza e controllo è radicato nel nostro DNA perché è radicato nel DNA dell’universo stesso. Gli scienziati ci dicono che questo conflitto è sempre esistito, dal Big Bang in poi: l’Energia contro l’Entropia, una lotta all’arma bianca che non ha mai conosciuto tregua. L’energia, se non viene tenuta a freno in qualche modo, tende immancabilmente all’entropia, o al caos. Energia significa potenza; tenere a freno significa controllare. Un concetto talmente semplice che spesso ci sfugge. Gli esperti di performance dicono che il modo migliore per allenarsi all’esercizio del controllo è sviluppare una buona routine di lavoro, dei meccanismi semplici e ripetibili, e poi fare pratica, fare pratica in modo forsennato. Ma questa è solo una delle possibili strade verso il controllo. Ce ne sono tante altre. Ovviamente l’eccesso di controllo comporta tutta una serie di altri problemi. Se è vero che la potenza senza il controllo non è niente, il controllo senza la potenza è la morte. E così, proprio quando credevi di aver capito come funzionava... ecco il quarto ball. Ecco che ricomincia la battaglia. In realtà la battaglia non ha mai fine, e questa consapevolezza può essere molto scoraggiante. Nei momenti di difficoltà mi capita di ripensare quel cowboy folle e quell’adorato filosofo da strapazzo, e con un sospiro mi chiedo: E ora cosa pensi di fare?

02 Reflection di Lisa Halliday

È cresciuta a Medfield, nel Massachusetts. Dopo la laurea alla Harvard University halavorato a New York come agente letterario. Alcuni suoi scritti sono stati pubblicati su The ParisReview e nel 2017 ha vinto il Whiting Award per la narrativa. Il suo primo romanzo, Asimmetria,compare nella lista dei dieci libri migliori del 2018 secondo il New York Times, The NewYorker, Time Magazine. Attualmente vive in Italia, a Milano, con il marito e la figlia.

Affrettarsi con Lentezza

di Lisa Halliday

La vita scorre veloce o, comunque, inesorabilmente. Mentre siamo alle prese con un dato momento ecco che è già sopraggiunto il successivo. La creatività, soprattutto se praticata in solitudine, può apparire come una pausa artificiale, un temporaneo ritrarsi dal mondo allo scopo di fare il punto della situazione ed esprimere con lucidità le proprie impressioni. Questo è uno dei possibili tipi di controllo artistico: la disciplina di chi si mette al lavoro sottraendosi all’azione. Un altro tipo di controllo è quello che l’artista esercita sul proprio materiale impossessandosi di informazioni e osservazioni per plasmarle e creare qualcosa di nuovo. Esprimendo l’inespresso, imponendo un ordine e una forma a ciò che prima era disordinato e amorfo, l’artista afferra una tematica e riesce a possederla esprimendola secondo i propri termini. C’è poi il controllo tecnico: la microgestione delle parole (o degli accordi, delle pennellate, degli échappé), con il raggiungimento di una tregua tra ambizione e realizzabilità. L’apparente infinità delle scelte artistiche fa di tale impresa qualcosa di esasperante; è una tensione compulsiva verso la perfezione nella consapevolezza che la perfezione non esiste. E in realtà questa è un’altra cosa che va controllata: la tendenza al controllo compulsivo. Da un secolo ormai l’esile manuale Elementi di stile nella scrittura esorta gli studenti americani a rendere “ogni parola... significativa.” Frasi snelle, terse, scevre di parole inutili: ci è stato insegnato che sono questi i pregi di un testo chiaro e coinvolgente.

La forza propulsiva che anima questo viaggio non è niente senza il controllo, perché solo il controllo è in gradodi imbrigliare e dirigereil potenziale artistico.

Ma possono considerarsi pregi anche in campo letterario? Nelle sue Lezioni americane del 1985, Italo Calvino propone cinque qualità cui gli autori del Ventunesimo secolo dovrebbero aspirare: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità. È probabile che Calvino si troverebbe sostanzialmente d’accordo con Elementi di stile nella scrittura, libro che propugna proprio quello stile essenziale che secondo Calvino è alla base di un testo valido. Eppure, nella sua lezione sulla Rapidità, Calvino sostiene anche una tesi opposta: difende gli indugi nella scrittura, le deviazioni, la narrazione che evoca un tempo non lineare, un tempo dilatato. A suo avviso anche le storie che sembrano non raggiungere mai la loro destinazione hanno i loro pregi. “La divagazione o digressione,” scrive, “è una strategia per rinviare la conclusione, una moltiplicazione del tempo all’interno dell’opera, una fuga perpetua.” Cita anche l’introduzione di Carlo Levi alla versione italiana di Tristam Shandy (un romanzo, per dirla con lo stesso Calvino, “tutto fatto di digressioni”):Se la linea retta è la più breve fra due punti fatali e inevitabili, le digressioni la allungheranno: e se queste digressioni diventeranno così complesse, aggrovigliate, tortuose, così rapide da far perdere le proprie tracce, chissà che la morte non ci trovi più, che il tempo si smarrisca, e che possiamo restare celati nei mutevoli nascondigli. Raggiungere l’immortalità grazie a una perpetua digressione: l’idea è in sintonia con quello che Calvino, morto prima di poter finire la sesta lezione, dichiara essere il suo motto personale: festina lente. Affrettarsi con lentezza. Elementi di stile nella scrittura ci insegna che la scrittura deve essere rapida e snella. Cionondimeno, Calvino ci ricorda che anche la prosa più scorrevole può dare l’impressione di attardarsi e divagare, tornare sui propri passi e perdere la strada. Spesso, in realtà, sono proprio queste digressioni controllate a trasformare frasi meramente eleganti in qualcosa di trascendente. Non solo le deviazioni sembrano voler sfidare la morte e il tempo, ma riecheggiano la non linearità della vita stessa. Se un artista è in grado di evocare simultaneamente impressioni apparentemente opposte — la leggerezza e la pesantezza, la rapidità e la lentezza, l’esattezza e l’incertezza, la visibilità e l’opacità — in realtà sta evocando la molteplicità dell’esperienza umana. Spesso la qualità più attraente prevarrà sotto forma di stile mentre il suo opposto fungerà da soggetto. Per esempio, un racconto può avere come argomento le deviazioni e i ritardi della vita, ma lo stile che veicolerà questo contenuto sarà pulito e aerodinamico, accelerando o rallentando di volta in volta la narrazione a seconda di ciò che l’autore considera bello e appropriato. L’arte è un viaggio, ed è la coscienza a coprire la distanza. Ciò è vero per l’artista come per il fruitore, per chi è sotto i riflettori come per il pubblico, per lo scrittore come per il lettore. La forza propulsiva che anima questo viaggio non è niente senza il controllo, perché solo il controllo è in grado di imbrigliare e dirigere il potenziale artistico. (Il genere controllo imposto da entità esterne all’artista, quali la censura o lo stato, agisce in modo diverso: può rappresentare un ostacolo, ma anche un incentivo, uno sprone per l’arte, che assume così la forma di protesta o di sperimentazioni anche estreme che mirano ad aggirare questo ostacolo.) La forza propulsiva di una narrazione è tale proprio in virtù del controllo esercitato dell’autore che riduce al minimo le deviazioni inutili lasciando però spazio a quelle significative, senza mai permettere che queste prendano il sopravvento. In genere, ci piace essere rapidi, efficienti, liberi da impedimenti di sorta. Allo stesso tempo apprezziamo l’arte quando riesce a evocare in maniera realistica un mondo caotico e tentacolare. Attraverso l’arte vogliamo avere la sensazione che, pur non potendo eludere l’inesorabile, perlomeno ci muoviamo verso di esso con grazia e cognizione di causa. Un bravo scrittore ci conduce in un viaggio che noi lettori vorremmo non finisse mai; ogni artista inaugura un viaggio destinato a durare ben oltre l’ultima parola.

03 Reflection di Adam Greenfield

Scrittore e urbanista di base a Londra, da anni approfondisce la tematica di come si possono unire e compenetrare il mondo e la quotidianità dell’essere umano con il progresso informatico e tecnologico. Il suo libro più recente è Tecnologie Radicali: il progetto della vita quotidiana (Einaudi, 2017). Il suo prossimo libro, in uscita nel Regno Unito nel 2020, sarà Power at Human Scale.

L’ostacolo del controllo

di Adam Greenfield

Da un quarto di secolo la Pirelli presenta al mondo i suoi prodotti con lo slogan “la potenza è nulla senza il controllo.” Davvero insolito come motto commerciale: in primo luogo perché dice qualcosa di effettivamente vero, ma anche perché racchiudere in sé una preziosa lezione di vita. Quello che dice è vero innanzitutto nel suo originale ambito di competenza. Un amante della guida penserà immediatamente a un Kimi Räikkönen che, con la sua Ferrari bassa e affusolata, affronta una curva a 300 km orari senza perdere aderenza sull’asfalto bagnato del circuito Spa-Francorchamps. Oppure, andando ancora più indietro nella storia dell’automobile, penserà al brio e all’eleganza di una Fiat 514 decapottabile che sfreccia sulle curve della pista di collaudo del tetto del Lingotto con le gomme ben salde sul cemento arroventato dal sole torinese. Parliamo di situazioni in cui la bruta forza motrice, per quanto un guidatore ambizioso possa sforzarsi di concentrarla e imbrigliarla, da sola non basta a garantire il raggiungimento di un dato obiettivo; anzi, un suo impiego sconsiderato potrà facilmente avere esiti disastrosi. In simili frangenti il compito di chi è al volante è quello di indirizzare con la massima precisione l’ammasso di energie su cui si trova a esercitare il proprio controllo; un simile grado di precisione si può raggiungere solo se si è provvisti dell’attrezzatura adeguata e della capacità di capire in profondità il modo in cui questa andrà a impattare con il mondo. E fin qui ci siamo. Ma forse questo concetto può insegnarci anche qualcos’altro se prendiamo in considerazione le implicazioni che travalicano il regno del meramente letterale.

La distinzione tra la potenza e il controllo è tra le sfide cruciali della nostra epoca. Le più audaci tecnologie del presente ci mettono a disposizione una quantità sempre maggiore di potenza, ma la realtà è che non abbiamo ancora imparato a controllare queste tecnologie.

Questo discorso vale per qualunque situazione in cui vi sia uno scarto, uno slittamento tra la capacità di esercitare forza allo stato puro e l’abilità di indirizzare la suddetta forza con un certo grado di sottigliezza. Ed è perciò che in questo particolare momento storico un simile concetto risulta più vero che mai: la distinzione tra la potenza e il controllo è tra le sfide cruciali della nostra epoca. Le più audaci tecnologie del presente ci mettono a disposizione una quantità sempre maggiore di potenza, ma la realtà è che non abbiamo ancora imparato a controllare queste tecnologie. Armati di tutta una serie di attrezzature nuove e scintillanti ci intromettiamo goffamente in sistemi estremamente complessi, quali il clima, il genoma, o quella somma di interazioni che definiamo società umana, i cui legami incrociati, le cui interdipendenze, la cui capacità di retroazione producono comportamenti emergenti così sottili da essere per noi ancora parzialmente incomprensibili. Si tratta di situazioni e contesti che mettono in discussione il nostro ordinario concetto di causalità. Spezzano quell’equazione che abbiamo appreso nella più tenera infanzia secondo cui la forza impiegata e il risultato ottenuto sono direttamente proporzionali; questa logica, alla base della semplice meccanica newtoniana, l’abbiamo interiorizzata tanto tempo fa e continuiamo a farci affidamento anche in circostanze in cui è palesemente inapplicabile. In breve: certi sistemi non rispondono ai nostri desideri in modo diretto e lineare. Se mai speriamo di poter agire con efficacia in questi ambiti, dobbiamo abbandonare la nostra ingenua fiducia nella forza lineare e imparare ad applicare la potenza dei nostri attrezzi con tutta la delicatezza, il tatto, la comprensione e la discrezione che le circostanze richiedono. Il genere di potenza di cui parliamo è qualcosa di praticamente inedito fino a oggi. In nessun momento della storia della nostra specie, a eccezione forse di quando abbiamo imparato a dominare il fuoco, ci è capitato di essere investiti di simili capacità trasformative. L’intero globo è percorso da sistemi di reti che raggiungono praticamente ogni abitazione del pianeta e influenzano la vita di ogni essere umano o quasi. Tutta questa serie di dispositivi sensibili interconnessi tra loro parte dalla superficie (o anche dalla profondità) del singolo corpo umano per arrivare fino alla costellazione di piattaforme scintillanti che gravitano nelle loro orbite geostazionarie. Per quanto possiamo pensare di non essere invischiati, questi dispositivi registrano ogni nostra azione e spostamento, lo stato di qualunque evento. E quindi oggi ci è dato di intuire dei pattern nelle fluttuazioni e nei flussi di energia che prima (forse perché cadevano al di sotto o al di là della nostra capacità di percezione, nella loro dimensione spaziale o temporale) ci erano sempre sfuggiti. Sempre più ci ritroviamo a voler cambiare l’assetto dei limiti stessi della vita. La portata delle nostre ambizioni davvero non ha confini. Ma, di nuovo, quello che ci manca in simili dimensioni è il controllo. Ed è per questo che, prima di distaccarci completamente dal regno del letterale, va sottolineato che il rapporto tra motore e strada ha un’ultima lezione da insegnarci. Quando si parla di guida, il controllo non può prescindere dal concetto di aderenza, e a sua volta, l’aderenza su una superficie stradale dipende dall’attrito, e cioè dalla differenza, dalla resistenza. Il controllo, in altre parole, è un esempio di comportamento emergente: una negoziazione dinamica dell’impatto tra le varie forze contrastanti espresse in un dato momento. Perfino la dottrina dell’esercito americano riconosce questo dato di fatto, definendo la “padronanza” come “l’esercizio dell’autorità,” e “il controllo” in termini di “feedback riguardanti gli effetti dell’azione intrapresa. ”Non si può dire con certezza quale grado di progresso possiamo raggiungere nelle questioni umane se non per gli aspetti meramente tecnici. Ma nel 2019, con sempre maggiori evidenze riguardo la fallibilità del controllo, forse stiamo finalmente imparando il rispetto per la complessità delle circostanze in cui ci troviamo inglobati, perché rimanere scottati è la lezione più efficace che ci sia per imparare il rispetto. Da questo punto di vista la potenza è qualcosa di adolescenziale. Ma non è del tutto ridicolo pensare che, almeno per quanto concerne la nostra capacità di maneggiare e controllare attrezzi potenti, forse ci stiamo avvicinando alla fine dell’infanzia. Mai come prima abbiamo l’intero mondo da conquistare. Il lavoro sodo — e se siamo fortunati, la soddisfazione e l’orgoglio che derivano da un compito difficile.

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