A volte dimentichiamo che la vita senza il contributo positivo della politica, della scienza e della tecnologia diventa presto "solitaria, povera, cattiva, brutale e breve", per usare la famosa frase del Leviatano di Thomas Hobbes. La crisi del COVID-19 ci ha tragicamente ricordato che la natura può essere spietata. Solo la buona volontà e l’ingegno possono salvaguardare e migliorare la vita di miliardi di persone. Oggi, gran parte di questo sforzo è esercitato nel realizzare una rivoluzione epocale: la trasformazione di un mondo esclusivamente analogico in uno sempre più digitale. Gli effetti sono visibili ovunque: questa è la prima pandemia durante la quale un nuovo habitat, l’ infosfera, ha aiutato a superare i pericoli della biosfera. Da tempo viviamo onlife (sia online che offline), ma la pandemia ha reso l’esperienza onlife una realtà comune e irreversibile.
Tra i fattori cruciali in questa rivoluzione epocale ci sono l ‘enorme potenza di calcolo sempre meno costosa, una connettività sempre più pervasiva, colossali quantità di dati in costante crescita, e infine l’intelligenza artificiale (IA), sempre più efficace. Con una definizione classica, l’AI è l’ingegnerizzazione di artefatti che possono fare cose che richiederebbero intelligenza se dovessimo farle noi. Questo significa che l’IA non è un matrimonio tra computazione e intelligenza, ma un divorzio senza precedenti tra agency e intelligenza, cioè tra la capacità di completare compiti o risolvere problemi con successo in vista di un obiettivo e qualsiasi necessità di essere intelligenti nel farlo. Per giocare a scacchi anche solo applicando le regole devo essere intelligente, ma il mio cellulare mi batte pur essendo stupido come un tostapane.
Questo divorzio è diventato possibile solo recentemente, grazie ai fattori già menzionati – rete, calcolo e dati – ai quali si aggiungono strumenti statistici sempre più sofisticati, e la trasformazione dei nostri habitat in luoghi sempre più compatibili con l’IA. Più viviamo nell’infosfera e onlife, più condividiamo le nostre realtà quotidiane con agenti artificiali che possono svolgere bene un numero crescente di compiti.
Il limite dell’AI è solo nell’ingegnosità umana. Oggi l’IA può aiutarci a conoscere, comprendere, prevedere e risolvere di più e meglio le numerose sfide che stanno diventando così pressanti: il cambiamento climatico, l’ingiustizia sociale, la povertà globale, e l’aggiornamento delle democrazie liberali. La gestione efficace dei dati e dei processi da parte dell’IA può accelerare il circolo virtuoso tra innovazione, modelli business, imprenditoria di maggior successo, scienza più avanzata, e politiche anche legislative più lungimiranti. Tuttavia, la conoscenza è potere solo se tradotta in azione. Anche qui, l’IA può essere una forza straordinaria per il bene, aiutandoci ad affrontare problemi complessi, sistemici e globali. Non possiamo risolverli individualmente. Dobbiamo coordinarci (non ci ostacoliamo a vicenda), collaborare (ognuno di noi fa la sua parte) e cooperare (lavoriamo insieme) di più e meglio. E l’IA può aiutarci a sviluppare queste 3C in modo più efficiente (più risultati con meno risorse), in modo efficace (risultati migliori) e in modo innovativo (nuovi risultati).
C’è un "ma": l’ingegnosità umana senza buona volontà può essere pericolosa. Se la rivoluzione digitale non è controllata e guidata in modo etico e sostenibile, può esacerbare i problemi sociali, dal pregiudizio alla discriminazione; erodere l’autonomia e la responsabilità umane; e ingigantire i problemi del passato, dalla distribuzione ingiusta dei costi e dei benefici allo sviluppo di una cultura della mera distrazione. La stessa IA rischia di trasformarsi dall’essere parte della soluzione a essere parte del problema. Quindi buone normative internazionali, a partire dall’Unione Europea, sono essenziali per garantire che l’IA rimanga una potente forza per il bene.
L’AI usata per la creazione e distribuzione di ricchezza, per il bene sociale, e per la sostenibilità ambientale è parte di un nuovo matrimonio, tra il Verde di tutti i nostri habitat – naturali, sintetici e artificiali, dalla biosfera alla infosfera, dagli ambienti urbani alle condizioni culturali, economiche, sociali e politiche – e il Blu di tutte le nostre tecnologie digitali, dai telefoni cellulari alle piattaforme dei social media, dall’Internet of Things ai Big Data, dall’AI al futuro quantum computing. La pandemia è stata la prova generale di quello che dovrebbe essere il progetto umano per il ventunesimo secolo, un divorzio con successo tra agency e intelligenza e un buon matrimonio tra il Verde e il Blu.
Alla luce del Verde & Blu, la società dell’informazione si comprende meglio come una società neo-manifatturiera, in cui le materie prime e l’energia sono sostituite da dati e informazioni, il nuovo oro digitale e la vera fonte di valore aggiunto. Non solo la comunicazione e le transazioni quindi, ma la creazione, la progettazione e la gestione delle informazioni rappresentano le chiavi per la corretta comprensione della nostra epoca e per lo sviluppo di una società migliore e sostenibile. Tale comprensione richiede una nuova visione di chi siamo oggi e di quale progetto umano desideriamo perseguire. Precedenti rivoluzioni nella creazione di ricchezza, come quella agricola e industriale, hanno portato a trasformazioni macroscopiche nelle nostre strutture ambientali, sociali e politiche, spesso senza molta lungimiranza e con profonde implicazioni concettuali ed etiche. La rivoluzione digitale non è meno profonda. In considerazione di questo importante cambiamento storico, il compito è quello di formulare un quadro etico e politico che possa trattare l’infosfera come il nostro nuovo ambiente. E la filosofia come design concettuale (conceptual design) può contribuire a tale aggiornamento di prospettiva.
Galileo suggeriva che la natura fosse come un libro, scritto con simboli matematici, da leggere attraverso la scienza. Oggi non sembra più una metafora, in un mondo che è sempre più fatto di 0 e 1. Le tecnologie digitali hanno sempre più successo al suo interno perché, come i pesci nel mare, sono i veri nativi dell’infosfera. Loro svolgono meglio di noi un numero crescente di compiti perché noi siamo organismi analogici che cercano di adattarsi a un habitat sempre più digitale, come sommozzatori. Così, gli agenti artificiali, siano essi soft (app, webot, algoritmi, software di tutti i tipi) o hard (robot, auto senza conducente, orologi intelligenti e gadget di tutti i tipi) stanno sostituendo gli agenti umani in aree che si pensava fossero impraticabili per qualsiasi tecnologia solo alcuni anni fa: catalogare immagini, tradurre documenti, interpretare radiografie, estrarre nuove informazioni da enormi masse di dati, scrivere articoli di giornale, e molte altre cose. I colletti marroni e quelli blu subiscono da decenni la pressione del digitale; ora tocca ai colletti bianchi. È impossibile prevedere quanti lavori spariranno o saranno radicalmente trasformati, ma ovunque le persone oggi lavorano come vecchie interfacce – ad esempio tra un GPS e un’auto, tra due documenti in lingue diverse, tra alcuni ingredienti e un piatto, tra i sintomi e la malattia corrispondente – quel lavoro è a rischio. Allo stesso tempo, stanno emergendo nuovi lavori – li ho chiamati colletti verdi – perché sono necessarie nuove interfacce, tra i servizi forniti dai computer, tra i siti web, tra le applicazioni di IA, tra i risultati dell’IA e così via. Qualcuno dovrà decidere se un testo debba essere tradotto e controllare che la traduzione approssimativamente buona sia una traduzione sufficientemente affidabile, per esempio. Molte attività rimarranno troppo costose per l’AI, anche supponendo che siano realizzabili dall’AI. Ma se non forniremo quadri legali ed etici migliori, la rivoluzione digitale polarizzerà ulteriormente la nostra società, basti pensare al digital divide o la gig economy. La legislazione giocherà un ruolo influente anche nel determinare quali lavori dovranno restare “umani”. I treni senza conducente sono una rarità anche per ragioni legislative, eppure sono molto più facili da gestire rispetto agli autobus senza conducente. Resta da sottolineare che molti compiti che scompariranno non elimineranno i lavori corrispondenti: ora che ho un robot tagliaerba ho più tempo per curare le rose. E molte attività saranno solo ricollocate sulle nostre spalle, basti pensare alle casse automatiche che ci permettono di scansionare le merci al supermercato. La rivoluzione digitale ci farà sicuramente svolgere più compiti in futuro.
In tutto ciò, la nostra intelligenza sarà messa sempre più alla prova dal successo dell’IA e la nostra autonomia sarà sfidata dalla prevedibilità e manipolabilità delle nostre scelte da parte dell’AI. Anche la nostra socievolezza sarà testata dalla sua controparte artificiale, rappresentata da compagni artificiali, semplici voci, o androidi che possono essere sia attraenti per gli umani sia a volte indistinguibili da loro. Non è chiaro come andrà a finire tutto questo, ma una cosa è certa: non sta arrivando alcun Terminator e gli scenari fantascientifici sono distrazioni irresponsabili. Le tecnologie intelligenti resteranno tanto stupide quanto una calcolatrice tascabile, il problema sarà sempre l’uso che ne faremo.
Resta un’ultima sfida, alla nostra “eccezionalità”. Dopo le quattro rivoluzioni comportate da Copernico, Darwin Freud e Turing, non siamo più al centro dell’universo, del regno animale, della sfera mentale e dell’infosfera. È venuto il momento di accettare che la nostra eccezionalità risiede in un modo speciale e forse irriproducibile di essere disfunzionali con successo. Come si sarebbe detto al liceo, siamo un hapax legomenon (una parola che ricorre solo una volta in un testo) nel libro della natura di Galileo. Con una metafora più digitale e contemporanea, siamo un bellissimo glitch nel grande software dell’universo, non l’app di maggior successo. Un glitch che dovrà essere sempre più responsabile nei confronti della storia che scrive, e della natura di cui deve prendersi cura. ˙
Floridi
è Professore di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove è Direttore dell’OII Digital Ethics Lab. È un esperto di fama mondiale di etica digitale, etica dell’intelligenza artificiale, filosofia dell’informazione e filosofia della tecnologia. Ha pubblicato più di 300 opere, tradotte in molte lingue. È profondamente impegnato nella sfera sociale ed etica oltre che nelle implicazioni delle tecnologie digitali e delle loro applicazioni. Collabora strettamente su questi argomenti con molti governi e aziende in tutto il mondo.